...scusi, ma chi è un counselor?

Un tizio incontra un tale che dice di essere un “counselor”. Il tizio allora chiede al tale: “Scusi ma chi è un counselor?”.

Il tale che dice di essere un counselor gli risponde dicendo:...

 

Mi fa piacere che me lo chieda, così mi da modo di spiegarglielo, sempre più mi rendo conto che non è così nota come sembra questa professione.

 

Provo a partire da questo e poi mi dica pure se sono stato chiaro. Un counselor in modo professionale ed empatico accompagna una persona, una coppia o un gruppo di persone nella ricerca di una strategia condivisa da mettere in atto allo scopo di uscire da un momento di crisi, qualsiasi esso sia e per qualsiasi problema sia insorto: una perdita di lavoro, una separazione, una difficoltà relazionale, un momento di malessere esistenziale, un lutto, una malattia, uno stato di ansia inspiegata e così via...

 

Il counselor aiuta e sostiene la persona nel percorso da compiere per farla uscire dal quel momento di crisi. A volte non abbiamo consapevolezza di ciò che è la nostra realtà, e ci lasciamo vivere piuttosto che vivere, oppure ci ostiniamo a vedere le cose sempre in solo verso, da una sola prospettiva, ecco, un counselor aiuta a prendere consapevolezza della propria realtà o di un aspetto apparentemente sottovalutato di essa, partendo e muovendo da un presupposto di completa comprensione e rispetto della propria ed altrui individualità.

 

Viene stimolata la capacità di autodeterminazione partendo dall'assunto che nella persona stessa è già presente il modo e la forza per uscire da quel momento”.

 

Il tizio ascolta, il suo sguardo è interrogativo e apparentemente scettico. Riflettendo gli ritorna alla mente un termine che non aveva mai sentito e di cui gli sfuggiva il significato e quindi gli chiede spiegazione: “Scusi– dice il tizio - ma cosa vuol dire “empatico”, cosa vuol dire “strategia condivisa” e cosa vuol dire che un counselor aiuta a prendere consapevolezza della propria realtà? Sa che non capisco che cosa fa davvero?

 

Il Counselor: “Mmm mi aspettavo queste domande o meglio speravo me le facesse! Allora partiamo dalla prima. Cosa significa un “ascolto empatico”. Allora “empatia” è una parola che deriva dal greco“empatéia”, che a sua volta è composta da en-, "dentro", e pathos, "sofferenza o sentimento", e che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l'autore-cantore al suo pubblico. Empatia quindi è la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa sentire dentro. Il concetto può prestarsi alla facile traduzione “mettersi nei panni dell’altro”, mentre invece significa andare non solo verso l’altro, ma anche portare questi nel proprio mondo. L'empatia, rappresenta la capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d'animo di un'altra persona e costituisce un modo di comunicare nel quale il counselor mette in secondo piano il suo modo di percepire la realtà per cercare di far risaltare in sé stesso le esperienze e le percezioni dell'interlocutore. È una forma molto profonda di comprensione dell'altro perché si tratta d'immedesimazione negli altrui sentimenti (in quei panni, con quell'esperienza di vita, con quelle origini) cercando di guardare attraverso i suoi occhi.

 

Le è più chiaro? Forse no...”, “Bhè, sì, penso di aver capito ma non ne sono certo” dice il tizio. “La capisco, in effetti è stato anche per me un processo piuttosto lungo imparare a comunicare in modo empatico. L'unico modo per comprendere cos'è l'empatia è provare a parlare con qualcuno che comunica così, mi creda!

 

Ma mi occorre dirle che non è sempre scontato trovare professionisti che comunichino con empatia, mentre spesso si possono incontrare persone che pur non lavorano nell'ambito della relazione d'aiuto, per natura sanno comunicare con empatia. Per un counselor comunicare con empatia è una condizione indispensabile.

 

Bene, passiamo alla sua seconda domanda”Che cosa significa strategia condivisa”. Le parlavo di empatia, che è lo strumento per comprendere la realtà della persona, ecco è partendo da questa comprensione che un counselor accompagna poi la persona a trovare un modo personale e più efficace di muoversi nella propria realtà, definendo se necessario un percorso anche per piccoli passi, ecco perché “strategia condivisa”: perché è stabilita, “divisa-con” la persona.

 

La comprensione o la presa di coscienza della propria realtà (interiore ed esteriore) la possibilità che essa si possa vedere da altri punti di vista, aiuta da una parte ad alleggerire la pressione della situazione (tutto ciò che si conosce spaventa di meno), mentre dall'altra si ha più energia per attuare dei passi utili per migliorarla. La persona, così, scopre o riscopre potenzialità che non credeva di avere o aspetti di sé che aveva sottovalutato

 

Senta, sono tante belle parole, ma io continuo a non capire– dice il tizio – ma cosa ha studiato un counselor per fare questo lavoro? Come ha imparato ad essere empatico? E come fa ad aiutare un altro se non è uno psicologo?

 

Mmm, vedo che lei è proprio curioso di capire, e le sue domande incalzanti mi piacciono perchè hanno insieme un misto di curiosità e scetticismo, che mi mettono abbastanza alla prova, e sa, a me piacciono le prove...allora, un counselor non è uno psicologo (anche se esistono molti psicologi o psicanalisti che sono anche counselor) ma è di certo una persona che ha una particolare predisposizione per gli altri. Questo per nascita o molto più facilmente per storia personale. Un counselor poi ha frequentato un Master triennale nel quel studia materie umanistiche legate alla conoscenza dell'animo umano, ha fatto pratica attraverso un tirocinio in un centro specializzato per l'aiuto alla persona, ed ha l'obbligo di un percorso personale, che gli permette di conoscere se stesso e di sciogliere i suoi nodi esistenziali ed essere pronto ad accogliere l'"altro". Spesso uso la metafora del tavolo: nel suo percorso personale  un counselor è come se avesse fatto ordine nel suo tavolo interiore, ha classificato le sue emozioni e le sue esperienze, buttando ciò che non gli serviva e facendo spazio in modo da accogliere le esperienze, difficoltà e sofferenze altrui. Le piace come metafora? Riesce ad immaginarla?

 

Poi alla fine del Master effettua un esame con Tesi e se decide di praticare la professione a sua discrezione si iscrive ad un'associazione di categoria, una delle 7 a livello nazionale. Ha l'obbligo dell'aggiornamento costante e spesso segue ulteriori corsi di specializzazione per approfondire alcune tematiche. E' seguito da un supervisore che lo sostiene e lo guida nei casi più difficili. Le Associazioni professionali di categoria e la professione di Counselor sono oggi ufficialmente riconosciuti dallo stato italiano.

 

Come funziona un colloquio. Bene, un counselor aiuta principalmente con “la parola" attraverso un dialogo aperto nel quale lascia spazio alla persona di narrare e di narrarsi, già questo momento è di per sé importante ed utile ai fini di comprendere la propria realtà da punti di vista diversi. Poi il Counselor guida la persona, con domande, ad approfondire alcuni aspetti o a vederne di nuovi.

A seconda dell'esperienza e della persona che viene in consulenza si possono proporre molte altre tecniche che fanno parte del suo bagaglio di esperienze e che consentono di strutturare un percorso davvero unico e specifico per quella persona, che sia rapito, efficace e piacevole. In ultimo, mi lasci dire una cosa che le potrà sembrare scontata ma che non lo è: un Counselor non giudica ma comprendere con rispetto la persona, che si sente accolta nella sua interezza ed al sicuro (perché un Counselor deontologicamente ha l'obbligo della segretezza), e così, all'interno di quello spazio di protezione può essere finalmente se stessa, libera di essere se stessa e libera dalla (tra virgolette) “maschera quotidiana”.

Che ne pensa?”.

 

Ma scusi, io continuo a non capire, ma cosa spinge una persona a diventare un counselor? Come fa una persona a sopportare ed a volere condividere il dolore di un altro? Da dove gli viene questo desiderio? E da dove gli viene il desiderio di prendersi cura degli affari degli altri, o meglio, in altre parole, ad impicciarsi degli affari degli altri?

 

Il counselor tace per un attimo, di fatto non sa cosa rispondere, vorrebbe dire che lo spinge l'amore per il prossimo, come un senso di compito assegnato dalla nascita, ma gli sembra un'affermazione vaga circa la quale neanche lui aveva mai riflettuto a fondo. Vorrebbe dire che lo spinge come un senso del dovere, un senso di altruismo impellente che non riesce a trattenere, ma mentre lo pensa si vede in quel bisogno di salvare il mondo e ricorda quanti problemi gli procurò quella falsa attitudine all'inizio della sua carriera e nella sua vita. Ripensa alle persone che aveva aiutato e che se n'erano andate da lui più serene e grate, ripensa a quelle che non avevano voluto completare il percorso, ed a quelle che se n'erano andate più forti e consapevoli ma senza gratitudine perchè era solo merito loro se stavano meglio, cosa che per lui rappresentava il vero successo, ma che di contro era comunque duro da digerire.

 

Ma questi pensieri non gli bastano per mettere assieme una risposta sensata e si chiede: ma cosa mi spinge in effetti a “farmi gli affari degli altri?” E perché proprio io?

 

In quei lunghi istanti il counselor guarda il tizio difronte a se e non sa cosa dire.

 

Non lo so, guardi, non lo so. Forse è quella ferita interiore antica e profonda che, anche se rimarginata, ha prodotto una piccola feritoia dalla quale riesco a guardare la sofferenza, la paura, la rabbia e l'ansia delle persone con una sensibilità diversa, perché la pelle cresciuta intorno a quella ferita è più sottile, più fragile, più sensibile e queste caratteristiche permettono alla ferita di essere come un occhio privilegiato dal quale osservare. Ma perché io abbia deciso di diventare un Counselor proprio non glielo so spiegare.

Beh, a pensarci bene, penso che sono diventato un counselor perché avevo il bisogno disperato di un counselor! E così me lo sono costruito in casa, tanto da essere sempre pronto all'uso.

Perché lo faccio per gli altri? Mah! Forse per dire ad un altro in senso lato, che se ce l'ho fatta io a guarire quella ferita ce la può fare anche lui, e che guarirla con l'aiuto di un altro è meglio, e se non altro si fa prima. Forse un perché sta nel bisogno di comprendere me stesso senza aver paura o fastidio di comprendere (e cioè di prendere con me), anche ciò di cui mi vergognavo o che ho sempre rifiutato, di andare oltre ciò che sentivo limitante e mi è sembrato che aver fatto questo percorso in compagnia di un professionista sia stato molto meglio, anzi direi che è stata una delle esperienze più entusiasmanti che io abbia mai vissuto. Guardi, non le so rispondere perché. Mi scusi.

 

Senta ora la saluto, grazie di avermi posto queste domande, mi hanno aiutato a riflettere ancora una volta. Arrivederci, stia bene!

 

Arrivederci...senta...scusi...quando potremmo re-incontrarci? Mi lascia il suo numero? C'è una cosa che da tempo mi preme di capire...forse lei mi potrebbe aiutare...

 

Viviana Biadene

 

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