Buona Fortuna

La chiamo più volte: “La signora Vyzovova! … signora Vyzovova!” (il nome è di fantasia) ma tra le persone in attesa nella stanza nessuna risponde, vado nell’altra stanza e la chiamo ma niente. Non avendo una sua foto non riuscivo nemmeno a cercarla tra i visi delle persone che erano lì in attesa (di solito c’è una foto dell’utente nella tessera, ma erano anni che la signora non veniva più e non aveva più la tessera). Ritorno nella stanza la chiamo ancora, finalmente sente il suo nome e con molta lentezza distoglie lo sguardo dal telefonino e dalle chiacchiere con un altro tizio seduto vicino a lei e mi risponde.

 

“Signora ma non mi aveva sentito prima che l’ho chiamata più volte?” – “No non l’ho sentita!” mi risponde. “Eppure l’ho chiamata più volte…venga si accomodi”. Con fare molto lento si alza e si mette a sedere di fronte a me. Ha sulla sessantina, bionda, aria stanca ma dignitosa, viene dall’Ucraina ma il suo cognome tradisce la provenienza.

 

“Come va?” le chiedo. “Insomma, non tanto bene” – risponde. Iniziamo il nostro colloquio e le faccio notare che da molti anni non veniva più a rinnovare la tessera per i servizi dell’organizzazione umanitaria e lei mi risponde che erano successe tante cose da quel periodo in poi.

 

“Da quanto tempo non lavora?”

 

“Da circa 2 anni. Ho lavorato per un anno e mezzo per un signore che era cieco e malato di mente, era cattivo e lo curavano con medicine per la testa. Questo era violento e tante volte mi ha detto male parole e picchiata!”. 

 

“E poi cosa è successo?”

“Ho detto che potevo sposarlo io per risolvere i problema dei soldi e così mi ha tolto le chiavi di casa e non sono più riuscita ad entrare”

Ovviamente non riuscivo a capire niente e così cerco di indagare meglio.

“Ma chi le ha tolto le chiavi?”

“Il collega!”

“Il collega di chi?”

“Mio! Lavoravo solo qualche giorno a settimana come badante e pulizie, ero stata chiamata da un collega italiano che mi pagava a nero le ore che andavo lì”

“E poi cos’è successo?”

“Sono spariti dei soldi dalla banca, trentamila euro, e io avevo capito che li aveva presi il collega. Io ero tanto amica della famiglia, andavamo alle feste insieme, io mi fidavo, poi il collega era ben visto da xxxx(un’altra organizzazione umanitaria) e così ero sicura che prima o poi mi avrebbero messo il contratto regolare. Me lo promettevano sempre!”

“Signora ma lei ha il Permesso di Soggiorno (PdS) scaduto da due anni, come mai non l’ha fatto rinnovare? Lo sa che aveva diritto ad un anno di PdS per attesa occupazione? Come mai  non ne ha approfittato?”

“Signora io non sapevo niente non ho chiesto niente, mi fidavo, mi dicevano che appena arrivavano i soldi dell’aggravamento del signore che guardavo mi avrebbero messo a regola e io mi fidavo”

“E poi cos’è successo?”

“Come dicevo mi hanno mandata via perché ho detto che se volevano risolvere io lo potevo sposare”

Io continuo a non capire quale sia il nesso tra quella strana battuta ed i soldi spariti in banca, ma capisco che forse nemmeno la signora ha voglia di spiegarmelo in modo chiaro. Allora cerco di ricostruire un po’ la storia che l’ha portata a ritornare a chiedere i servizi dell’organizzazione.

“Sono 20 anni che vivo in Italia, mi hanno detto che potevo chiedere la carta di soggiorno, io non sapevo e non l’ho fatto. 3 anni fa sono stata un anno e mezzo in Ucraina per problemi con la sorella di eredità e quando sono tornata non sono più riuscita a trovare un lavoro. Ho lavorato un anno e mezzo per quel signore cieco e matto, e quando le hanno rubato i soldi io ho detto che dovevano chiedere aiuto a un avocato, dove lavorava il signore, ce l’avranno avuto un avvocato! Io ho lavorato a nero per un anno e mezzo poi come dicevo sono stata buttata fuori dal collega italiano”

Il suo racconto era confuso, e continuavo a non capire bene la sequenza di eventi, ed avevo l’impressione che qualcosa non lo volesse dire appositamente.

“Signora non importa com'è andata, adesso è importante che lei riattivi il suo PdS. Qui abbiamo un avvocato gratuito se vuole parlarci, le suggerisco di venire il lunedì mattina che lo sportello legale è aperto e così cerca di capire cosa fare per riavere il documento, perché lo sa che senza diventa difficile un po’ tutto”.

Mi dice che vive in una occupazione e che aveva sempre lavorato bene prima di andare in Ucraina, ma da quando è tornata non riesce più a trovare una sistemazione. Si commuove ma vorrebbe trattenere le lacrime.

Continuiamo a parlare, lei si apre di più, i suoi racconti sono a tratti paradossali, costellati di uno strano mix di ingenuità e di scaltrezza, i miei pensieri la dipingono come una donna che ha sofferto molto senza nemmeno esserne consapevole. Sono istanti nei quali lasci entrare e provi con le tue misere capacità di accogliere l'altro, consapevole della tua limitatezza, di fronte a vite spesso devastate. Ci si apre piano piano, ci vuole un po’, all’inizio c’è una forma di naturale chiusura, sia da parte di chi ti sta di fronte sia da parte di te che stai “dall’altra parte”, umanamente ci si protegge, ci si nasconde. Non è immediato riuscire ad entrare con rispetto nel dolore dell’altro, come non è immediato lasciarsi andare e fidarsi, nella vita spesso ci vuole molto tempo, a volte non si arriva mai a fidarsi di qualcuno, ma in un colloquio di un’ora scarsa la “magia” del contatto avviene (o non avviene) per la particolarità del contesto e per la capacità o meno di chi ascolta di comunicare accoglienza e non giudizio totali.  Do alla signora altre indicazioni su aspetti pratici ed in più occasioni nel raccontarmi pezzi di vita si commuove. Ad un tratto mi dice: “Non so perché mi viene da piangere, io sono in genere molto forte e non voglio piangere mai! Ma qui mi viene da piangere”. Le dico allora che le lacrime non vanno trattenute, anzi forse hanno proprio bisogno di essere libere di fare il loro corso. Mi dice addirittura che non le era mai capitato di sentirsi così ascoltata (tra me mi dico: lei non sa quanto ho avuto bisogno di essere ascoltata io, signora mia!!), mi chiede chi sono, le dico “una volontaria” (avrei voluto dirle che lo faccio di professione ma che importava?), mi chiede se può tornare per parlare con me il giorno successivo, le dico di no e che mi potrà trovare solo la settimana successiva lo stesso giorno. Ci salutiamo e si mette a sedere aspettando la sua tessera.

Dopo un po’ ritorna e mi chiede: “Ma secondo lei come si fa a cercare di far andare le cose bene? Io so che ci sono momenti nella vita che se va tutto male poi è difficile cambiare e va sempre più tutto male. Come si fa a fermare questo?”

Io la guardo, in un istante mi passa nella mente una vita: la mia situazione attuale, la mia vita confusa e faticosa, e non ho risposte da darle, qualsiasi mi sembra goffa e troppo facile, irrealistica. Così abbozzo qualche teoria sul fatto che se ci sentiamo sbagliati o siamo giù attiriamo inconsapevolmente altra negatività, che è quindi importante ripetere a se stesse che siamo forti e che la negatività se ne andrà, che è importante sorridere anche nei momenti bui perché il sorriso  attrae cose buone e positive oltre che far bene alla salute perché aiuta a sviluppare i famosi neurotrasmettitori della gioia. Ma mi sembrava di recitare una parte, perché quando sei giù le teorie non servono, serve un “gesto”!.

Allora mi viene in mente che tengo in una foderina sempre un po’ di quadrifogli secchi, che di tanto in tanto do a qualche utente se sento che lo può capire. Guardo e non ne ho più, li avevo finiti.

“Senta signora le volevo dare un quadrifoglio porta fortuna ma non ne ho più, allora sa che facciamo? Gliene disegno uno in uno di questi foglietti (gli utenti, infatti, vengono con un numeretto che è la loro chiamata)”.

Prendo uno dei foglietti e disegno in quadrifoglio con scritto “Buona Fortuna” e glielo do. Il foglietto era il n.6, il mio numero preferito ma anche quello dalla signora, scopriamo così di essere nate lo stesso giorno: il 6 di un mese.

La signora prende il foglietto e se lo mette gelosamente nel portafoglio e mi ringrazia.

“Tornerò a trovarla una delle prossime settimane!” mi dice mentre mi abbraccia “Lo sa? Non mi era mai capitato di poter parlare così con una persona, lei mi ha proprio ascoltato, grazie!”

“Di nulla” - dico io - “Grazie a lei! E buona fortuna! vedrà che le cose andranno meglio…c’è una certezza almeno nella vita che i momenti brutti finiscono prima o poi, finiscono anche quelli belli, ma anche quelli brutti, vedrà!”.

 

Non so se i momenti brutti finiscono sempre, so che ci sono emozioni che sono in grado di rovesciare una montagna, di cambiare una storia, di modificare le cellule del corpo e di muovere il mare.

 

 

V.